prima l’ostia e poi il calice consacrati, il corpo e il sangue di Cristo. (Guarda caso, si sacrifica, seppure simbolicamente, un essere u-mano… Per giunta si continua a uccidere e mangiare, chissà cuanti milioni di volte al giorno, in tutto il mondo, la stessa vittima: Ge-sù!).

È una notte fredda e ventosa. Ma nessuno potrebbe impedirmi di uscire. E, se non rammento male, i miei nonni e mia zia non pen-sano nemmeno di dirmi che potrò comunicarmi l'indomani. Avvolto nel mio nuovo cappotto — mio nel senso che è il primo indumento scelto da me —, vado a messa da solo. L’edificio sacro è proprio di fronte. Dall’istante in cui esco fuori di casa fino all’offertorio non conservo alcuna memoria: come sono arrivato in chiesa?, da cuale porta vi sono entrato?, dove ò preso posto?, vi era gente?, ero so-lo?, il prete è stato muto fino adesso?, e dov’era?… Vuoto assoluto! Rammento soltanto che al momento dell’oblazione sono da solo inginocchiato in prima fila.

Disubbidendo a mia nonna, alzo gli occhi e mi vedo dentro un fa-scio di lieve luce che, partendo dalla navata, illumina il prete e cuindi anche l’altare maggiore. Il resto della chiesa è annullato nel buio. Non scorgo neppure il presepe allestito nella navata centrale. Cuanto i miei occhi percepiscono è il tenue fascio luminoso e… il sacerdote che, in piedi dietro l’altare e rivolto verso la fantomatica assemblea, si sta dissolvendo mentre presenta l’ostia consacrata, sostituito cuasi contemporaneamente dal Nazareno. Come detto, il Gesù della mia visione somiglia a cuello del ritratto appeso nella camera matrimoniale dei miei nonni materni.

Il sorriso del mio Galileo lo interpreto subito come un «grazie» per i miei tentativi di liberarlo. Invece, pensandovi anni dopo, vi intra-vedrò un ammiccamento che non considerasse la mia una fissa in-fantile passeggera e sapesse che, prima o poi, avrei sostituito gli spilli da balia con la penna… In ogni caso, come appena alluso — scrivendo che egli somiglia al Gesù del cuadro —, so che non si tratta di una visione. È la proiezione del mio desiderio di esser ras-sicurato che faccio la cosa giusta cuando, armato di spilli da balia, lo schiodo dal legno o lo slego dalla colonna. Ò un altro vuoto di memoria: non rammento né che il prete sia riapparso, né che mi abbia dato la comunione, né che abbia concluso la messa, né che io sia uscito dal luogo sacro, né che sia tornato a casa. Cuanto in-vece mi resta impresso, a parte la visione, è che nulla indosso che faccia capire che è il giorno, anzi la notte della mia prima comunio-ne. E nulla di materiale riceverò, neppure una piccola immagine sa-cra e, soprattutto, non ci sarà alcuna festa.

Per insufficenza di prove potrei essere scomunicato. Ma è possibile scomunicare cualcuno che non si è sicuri si sia mai comunicato?  

Soltanto uno sa che cuella notte di Natale ò fatto davvero la prima comunione: padre Rosario Pepe che ore prima mi confessò e ore dopo mi depose sulla lingua la particola consacrata. Sono io che non rammento né di essermi alzato per andare a riceverla, né di

 

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