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un programma destinato ai giovani. Ò sedici anni e alcuni me-si, ovvero cuasi diciassette anni. Frecuento la cuarta elementa-re.

Comincio a andare a scuola all’età di cuattordici anni e nove mesi, in terza nella classe di II-III, con scolari — maschi e femmine — che presentano difficoltà di apprendimento, detti per scherzo, ma anche un po’ per cattiveria, «anormali». Ci viene consigliata cuesta scuola mista come banco di prova, in cuanto straniero, al fine di familiarizzarmi ulteriormente con il francese che assimilo «pas mal» (non male) per strada, in circa cincue anni, giocando anche a scuola con i compagni di cuartiere… Cuindi conosco già bene la lingua di Hugo parlata, letta e scritta. Alla fine del primo trimestre scolastico trascorso in terza, appunto, mi vedo promuovere in sesta nella classe di V-VI. Alla fine dell’anno ottengo la media di 5,1 (il massimo dei voti è 6). Così decidono di mandarmi in una scuola normale, anche cuesta frecuentata da ragazze e ragazzi. Sono l’unico andicappato fisico (lo preciso perché andicap sta anche per mancanza di concentrazione, difficoltà di apprendimento o al-tro). L’anno scolastico 1966-1967 lo trascorro duncue con sco-lari non «anormali», in cuarta nella classe di III-IV. Passo con la media di 5,73. Adoro tutte le materie, in particolare la mate-matica. Dalla cuarta atterro in sesta nella classe di V-VI. Cuì le mie note vanno scemando. Il nuovo maestro è una persona di una certa età. Invece d’insegnare e di spiegare cuando cualcu-no non comprende, perde il suo tempo ripetendo, come un disco rotto, che lui alla loro età… E maltratta pure fisicamente l’alunno che osa dire: «Maestro, non capisco». Anche se con me non si comporta così, perché non gliene dò motivo, dal mio terzo e ultimo anno scolastico elementare mi metto a detesta-re la scuola, soprattutto la matematica, forse per solidarietà coi compagni o perché egli non à tempo, appunto, per spiegare bene la lezione. Cuell’anno (1967-1968) soltanto in tre su ven-ticincue siamo promossi, io con la media di 5. Durante il primo anno di scuola media (1968-1969), il mio rendimento continua a diminuire (nota finale: 4,34). Cuesta volta non è per colpa dei professori. Trascorro le ricreazioni addossato a un muro, ignorato perfino dai compagni di classe. Mi dico, senza creder-vi, che lo fanno per proteggermi dai pericoli che conseguireb-bero alla mia partecipazione ai loro giochi ormai da grandi: spinte, corse, lotte, tese a sfogare l’esuberanza adolescenziale. Io sono in ogni caso più grande di loro, cuesto va sottolineato. Inoltre siamo tutti estranei, ovvero ci conosciamo appena. In-somma inizia per me l’inferno che, come ribadirebbe Sartre, «so-

 

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